I primi contratti swap risalgono agli inizi degli anni ottanta e successivamente questa tipologia di strumenti derivati si è sviluppata molto rapidamente. Lo swap nella sua forma elementare è un accordo che prevede che due contraenti si scambino dei flussi finanziari calcolati con un criterio prestabilito a date prefissate. Il primo e più semplice tipo di swap è l’interest rate swap, un contratto che contempla lo scambio di interessi calcolati su un determinato ammontare prefissato chiamato nozionale. Il più diffuso e tradizionale contratto è lo swap fisso contro variabile. Tale accordo prevede che una delle due parti ceda all’altra un flusso di interessi calcolati sul nozionale con un tasso fisso in cambio del ricevimento degli interessi calcolati secondo un tasso variabile.
Un esempio concreto potrà aiutarci a capire l’utilità di questo strumento.
Immaginiamo un azienda di medie o piccole dimensioni: in caso di necessità di nuovi investimenti preferirà indebitarsi a tasso fisso, in modo da conoscere in anticipo le uscite di cassa e poter redigere con più tranquillità i propri piani industriali. Le Piccole e Medie Imprese solitamente hanno maggiori difficoltà ad accedere a finanziamenti a tasso fisso; d’altronde la società in questione, prendendo a prestito denaro a tasso variabile, in caso di rialzo improvviso dei tassi sperimenterebbe uscite impreviste che potrebbero colpire negativamente i conti.
Pensiamo poi ad una banca che, invece, ha una serie di obblighi finanziari remunerati a tasso fisso: basta considerare le obbligazioni o i prodotti a capitale e rendimento garantito venduti ai propri clienti. La maggior parte delle entrate della banca, tuttavia, è a tasso variabile: ad esempio i prestiti che le banche si concedono tra di loro sono indicizzate al Libor[1]; in caso di ribasso dei tassi la banca dovrà continuare a pagare il tasso fisso, rimettendoci in quanto i flussi ottenuti a tasso variabile sono calati.
Ipotizziamo che sia la banca sia la società abbiano obblighi debitori per un milione di euro e che la banca sia costretta a pagare interessi fissi e la società, variabili.
Le due potrebbero entrare in un contratto di interest rate swap con nozionale pari a un milione; la banca pagherebbe alla società il tasso variabile su questo capitale, ricevendone in cambio il tasso fisso.
La banca, con il tasso fisso ricevuto potrebbe soddisfare i suoi obblighi nei confronti dei clienti, proteggendosi da eventuali cali dei tassi, mentre la società avrebbe dei flussi variabili con cui far fronte alle sue uscite. In tal modo è come se la banca pagasse un tasso variabile e la società uno fisso.
Questo tipo di contratti consente alle imprese di annullare la propria sensibilità alle fluttuazioni dei tassi di interesse, anche se introduce il cosiddetto rischio di controparte, cioè il pericolo che l’altra parte sia inadempiente. Lo spread è la remunerazione del rischio creditizio della controparte. Ritornando al nostro esempio, ipotizzando che la società abbia un minor merito creditizio della banca (ad esempio ha molti altri debiti o non ha entrate certe), quest’ultima pretenderà di ricevere un interesse maggiore, ad esempio il tasso fisso maggiorato di 25 o di 50 punti base, o di pagare all’azienda un tasso variabile inferiore a quello di mercato.
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