Con due sentenze del 25 marzo e del 3 aprile, il Foro di Milano ha fissato un punto fermo nell’annosa diatriba sull’anatocismo, condannando tre banche (Ing, Deutsche Bank e Bpm) a sospendere con effetto immediato la pratica della richiesta di “interessi sugli interessi”. .Fino agli anni ’90 del secolo scorso il fenomeno era circoscritto e nel 1999 la Cassazione ne dichiarò la nullità. Ma il Cicr (il Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) ha introdotto l’anno successivo la possibilità di applicarlo,purché riguardi gli interessi sui debiti e sui crediti, la magistratura italiana non è assolutamente a difesa dei correntisti, ma è uniforme e prona alle condizioni di potere del ceto bancario e in particolare alla Banca d’Italia. Quando si deve calcolare il tasso effettivo globale, cioè quello che deve corrispondere il correntista che ha beneficiato di una linea di credito, la magistratura si uniforma alle direttive e alle istruzioni della Banca d’Italia. Mentre la legge penale, all’articolo 644 codice penale prevede che il TEG sia calcolato tenendo conto di tutte le commissioni tranne le imposte e tasse. Secondo Bankitalia non si deve tenere in considerazione la commissione di massimo scoperto per esempio e l’effetto anatocistico.  Se nel TEG non inseriamo queste remunerazioni non c’è mai usura. Se invece valutiamo con attenzione questo tasso e consideriamo anche altre remunerazioni, per esempio le spese di istruttoria o quelle della polizza assicurativa che accompagna il mutuo, scopriamo che al correntista viene praticata l’usura. Ma la magistratura, e in particolare alcuni Tribunali si sono sempre dimostrati più vicina alle banche che ai cittadini. Servirebbe una rivoluzione culturale, perché oggi la banca è contro l’imprenditore, non gli è vicina. Il problema dell’anatocismo è quasi un problema minore, rispetto alla segnalazione errata alla centrale rischi, il fenomeno più grave: se, per esempio, un imprenditore contesta un estratto conto o una rata di mutuo, ma anche una bolletta telefonica o dell’energia, la banca immediatamente lo segnala alla centrale rischi senza neanche che vi sia un contradditorio e questo provoca che anche altri istituti di credito, appena vedono la segnalazione alla centrale, rompono ogni rapporto bancario. Così l’imprenditore si ritrova a vivere drammaticamente la crisi di liquidità. E la crisi di liquidità ingenera un meccanismo a cascata: si va nelle aule fallimentari, ci sono i licenziamenti, c’è il reddito ridotto, la domanda si comprime e si arriva addirittura ai suicidi di cui si è tanto parlato in questi anni di crisi. Questo comportamento improprio della banca si chiama, in termine tecnici, rottura abusiva di una linea di concessione di credito, che nasce per un’errata segnalazione. Potrà accadere in seguito che  il magistrato stabilisca che quella segnalazione alla centrale rischi sia iniqua, m intanto il danno si è verificato.In questo paese non esiste una norma che dica che qualora una banca segnali in modo sbagliato alla centrale debba essere punita. Le banche, in sostanza, sono le principali responsabili della creazione di una crisi della liquidità, che comporta uno stato di insolvenza e i fallimenti di molte imprese. Purtroppo un correntista qualsiasi non possiede gli strumenti per valutare se vi sono irregolarità nella sua linea di credito. Bisognerebbe munirsi di una perizia, fornita da esperti di diritto bancario che scandaglino a fondo il credito per capire se è regolare o meno. Queste banche si nascondono dietro questa formulazione, ovvero che la riforma del Tub non è valida in attesa del parere del Cicr. Ma la delibera del Cicr non è una fonte normativa, è una mera emanazione di un atto interno di un comitato interministeriale. Tutte queste pronunce dovrebbero essere allineate, invece in Italia continua a esserci una variegata interpretazione di una norma che è tombale. Nel 2000, la delibera del Cicr, che di fatto reintroduceva l’anatocismo, è stata giudicata incostituzionale dalla Consulta. Anche tutti i tentativi successivi sono di fatto caduti nel vuoto: praticare gli interessi sugli interessi è una consuetudine che non è in alcun modo consentita dalla legge. Se un imprenditore si trova in difficoltà, la banca può decidere di chiedere un’ingiunzione di pagamento, che si può ottenere con una sola frase: un funzionario prende dei documenti e scrive “il credito è certo, liquido ed esigibile” (Estratto di conto, deriva dal TUB art. 50). Questa è una supremazia che si riconosce alle banche, le quali in modo unilaterale scrivono che il credito è esigibile. A quel punto riescono a ottenere con il processo telematico un’ingiunzione di pagamento e  iscrivono un’ipoteca giudiziale sui beni del debitore. I suoi beni possono andare all’asta nei mesi successivi. E qui c’è l’ennesimo paradosso: la banca potrebbe essere l’assegnataria di quei beni, e decidere di venderla attraverso la concessione di un mutuo. In questo modo però guadagna tre volte: con gli interessi applicati sulla prima linea di credito; con l’acquisizione dell’immobile del debitore; con il mutuo concesso. Ma questo comportamento, questa supremazia del sistema bancario, non è conforme alla legislazione europea.

 

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