LA BANCOCRAZIA
Oggi la banca ha un potere incommensurabile: può decretare la fine di un’impresa, può storpiare l’iniziativa economica, recidere ogni “azione intrapresa” che possa produrre reddito e ricchezza. Mentre prima era al servizio dell’imprenditore, oggi è a lui ostile: il suo obiettivo non è quello di prestar danaro ed alimentare il volano dell’investimento e dunque organizzare, alla meglio, i fattori produttivi per intervenire nella crescita economica, ma di conseguire utili per se stessa.
La banca, tempi addietro, forniva il credito e non lo poteva revocare se non per giusta causa, oggi invece, il correntista non è più un cliente da curare e da seguire nella sua “azione intrapresa”, ma diventa un numero come tanti, indistinguibile nella massa: l’obiettivo della banca è quello di conseguire utili, come una qualsiasi impresa, non più quella di aiutare l’imprenditore, sposare ed organizzare le sue idee, spingere ed alimentare con effetto moltiplicatore gli investimenti, anzi l’imprenditore non deve creare problemi, diversamente, va in incaglio per essere spazzato via dal mondo dell’impresa, attraverso il sistema della gogna mediatica della segnalazione alla ‘Centrale rischi’.
Ed è quello che è accaduto a tante imprese che non possono più operare, perché le banche sono divenute nemiche.
Oltre alla segnalazione alla ‘Centrale rischi’, che rappresenta un gravissimo impedimento per accedere ad una nuova linea di credito, l’imprenditore che oggi si presenta in banca deve già possedere ricchezze, altrimenti non può essere affidato.
Infatti le banche chiedono fideiussioni a tutti i soci dell’impresa e non di rado alle loro mogli, fratelli e sorelle. Si determina quella che viene definita la “potenziale spoliazione patrimoniale”. Va da sé che le fideiussioni ottenute sono di gran lunga sproporzionate al fido concesso o al mutuo erogato.
Ma vi è di più: se l’imprenditore non riesce a rientrare del fido concesso, le escussioni delle fideiussioni si registrano oltre i limiti contrassegnati in contratto. Per esempio a fronte di un fido di euro 100 mila si raccolgono fideiussioni sul piano di un contratto scritto per euro 200 mila, ma chi firma può essere di converso, portatore di ricchezze immobiliari, di maggior valore per esempio euro 600 mila. Avviene dunque che la banca, in caso di inadempimento del debitore principale, quello affidato, dovrebbe accendere ipoteca nei limiti di euro 200 mila sui cespiti dei fideiussori, come da contratto scritto: invece viene pignorata ricchezza immobiliare per euro 600 mila ed oltre.
Ma non finisce qui: il sistema con la sua macchina spietata deve coartare l’imprenditore all’adempimento, costringerlo ad ogni costo a rientrare delle sue obbligazioni, impedendo un’esistenza dignitosa alla sua famiglia ed ai suoi figli.
Si minaccia dunque il pignoramento dei suoi immobili, concessi in garanzia e quello che è più grave una volta che lo si è subito, si delinea l’angoscia e la paura dello spossessamento e dello sloggio dalla propria abitazione, quella costruita con i risparmi di una vita.
Infatti il sistema della riforma dell’espropriazione forzata consente di nominare un custode che impone all’imprenditore o al mutuatario inadempiente di lasciare la casa o l’opificio pignorato o addirittura di stipulare un contratto di affitto: il proprietario della casa o dello stabilimento dovrà pagare un canone locatizio alla procedura esecutiva che ha avviato la vendita dei beni pignorati, se intende rimanervi. Il povero debitore ben sa che da li a poco quella stessa casa sarà venduta all’ incanto e sarà perduta definitivamente.
Accade dunque che non solo la banca distrugge, con il sistema della centrale rischi, l’imprenditore che non potrà più neppure ottenere un finanziamento per un acquisto rateale, ma, in caso di sconfinamento ed incaglio della sua posizione, si dischiude a suo discapito il fallimento dell’impresa e la devastante ricaduta del proprio prestigio ed onore nel seno della sua famiglia e della comunità sociale ove egli vive. Gli si provoca il danno esistenziale della perdita di sè stesso che nessuno gli potrà più risarcire.
Molte sono le imprese che sono cancellate dall’ economia reale, fallite e non più riconducibili nell’alveo di una ripresa di iniziative occupazionali. Si semina per questo “sistema tagliola” disoccupazione e si provocano suicidi, come di fatto è avvenuto.
Si ingrossa il sistema bancario che diventa un potere, quello più potente nell’ambito economico: la” bancocrazia” fatta da” imprenditori”, quelli della razza padrona contro la Costituzione, l’equità sociale e la dignità dell’uomo.
Le banche dovrebbero guardare meno ai dati e più alla storia delle imprese, alla loro vita nel tessuto economico sociale del territorio.
È vero, alcune Banche hanno subito un peggioramento dello standard della propria azienda, ma sono state penalizzate per colpa altrui; oggi, dato il tempo che la società sta vivendo, le banche devono tornare a crederci: ci siamo riusciti 30 anni fa con tassi altissimi, pagavamo dal 28 al 30% di interessi e quindi dovrebbero tornare ad investire nelle imprese facendo loro credito al fine di poter garantire a queste ultime la produzione così che potranno assumere e creare nuovi posti di lavoro; oggi purtroppo, le imprese chiedono credito alle banche, il più delle volte, per rientrare e fronteggiare obbligazioni e debiti creati dalla stesse banche e dai lunghi tempi di attesa per ottenere il pagamento del proprio credito. La lunghezza e la profondità della crisi economica ha creato infatti nelle imprese una situazione non semplice riguardo alla liquidità del patrimonio, della capitalizzazione e quindi nella valutazione del credito bancario. “. Ma molte volte il credito che viene richiesto è un credito che non serve per nuovi investimenti, ma un credito di ristrutturazione, allungando quindi un debito che già c’è”. Una ricetta per uscire da questa “spirale”,, non esiste; Sarebbe auspicabile “un tavolo unico dove banche e imprese non dovrebbero essere più in antitesi ma essere sedute l’una al fianco dell’altra, dialogando e trovando forme migliori per affrontare la crisi con franchezza e con sincerità: da una parte le aziende con idee chiare e con business plan che evidenzierebbe la sostenibilità dell’investimento nel corso degli anni, e dall’altra parte la banca che con la conoscenza storica di determinati “clienti imprese” dovrebbe valutare con più sensibilità anche aziende che la “macchina sociale” proietterebbe in un modo non positivo. ” UN AIUTO PER OTTENERE IL CREDITO e uscire da questa spirale. Tutto ciò sarebbe molto proficuo ma accade solo nell’ immaginario, infatti le imprese continuano ad essere nella morsa delle banche perché chiedono crediti per fronteggiare debiti, quindi quei crediti genereranno altri debiti a carico dell’azienda.
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